Pedagogia

Le immagini nell’anima del bambino

Partendo da un episodio capitato all’inizio della quinta classe,cercherò di gettare luce su alcuni importanti aspetti delle immagini che vivono nell’anima dei bambini. Prego il lettore di avere pazienza nella lettura dell’introduzione, necessaria per comprendere il nocciolo della questione.Tipicamente, nella quinta classe della scuola steineriana si prosegue lo studio della geografia italiana avviato l’anno precedente,giungendo così a completare una conoscenza dell’Italia fisica e politica e, soprattutto, perseguendo l’obiettivo di suscitare negli alunni la comprensione del rapporto dell’uomo con l’ambiente.L’anno scorso, in quarta, ci siamo un po’ troppo «innamorati»dello studio dell’Italia fisica, dilungandoci a tal punto da non avere poi il tempo di iniziare i dettati sul quadernone (che è il nostro«libro di testo»), per quanto riguarda la geografia politica. Abbiamo lavorato molto sulle cartine, caratterizzando verbalmente molti aspetti relativi alla conformazione del territorio, al clima, alla vegetazione e agli animali. Ci siamo soffermati anche sull’ azione dell’uomo nell’intento di adattare, modificare, produrre beni e ad-dirittura nella difesa nei confronti dell’ambiente e delle sue manifestazioni. Questo lavoro dell’Italia fisica è stato poi concluso sul quaderno con dettati e disegni.

Forti di quanto appreso, abbiamo iniziato lo studio delle attività umane in ciascuna regione dell’Italia settentrionale, caratterizzandole con racconti, spiegazioni e disegni alla lavagna, riprodotti dai bambini su fogli che venivano poi appesi alle pareti. Ma il lavoro più intenso è stato quello di trasferire queste conoscenze sulla grande cartina dell’Italia settentrionale che ciascun alunno ha prodotto e curato individualmente, indicando con dei semplici disegni personali la fauna e le attività produttive dell’uomo. Questa è stata la parte più apprezzata dagli alunni: chi disegnava un mestolo e chi una panca per raffigurare l’artigianato del legno in Val d’Aosta; chi uno sciatore («posso fare uno snowboarder, maestro?»), o una funivia per il turismo invernale in Piemonte; e così via con pannocchie, barbabietole, mele,petroliere, orsi, nocciole, stambecchi, magliette, bulloni, computer,olive, bovini… riempiendo la cartina di un centinaio di chiari segni dell’attività umana e della fauna selvatica e domestica. Ogni giorno gli interventi dei bambini, in forma di domande, ricordi e osservazioni, hanno arricchito le lezioni e ne hanno evidenziato l’intensa partecipazione. Il tempo a disposizione era però terminato e abbiamo dovuto concludere l’ultima epoca di geografia della quarta classe, senza riuscire, come già detto, a completare con la scrittura sul quadernone i dettati relativi.

Durante l’estate seguente, mentre preparavo il lavoro di quinta pensavo: «È stato bello, allora, innamorarsi, ma il risveglio ora è amaro!». Ho dovuto adattare il programma, già vasto di per sé, al-l’esigenza di recuperare quei dettati che riguardavano il lavoro di quarta. Si trattava di mettere per iscritto, dopo la pausa estiva, conoscenze acquisite circa cinque mesi prima.Giunti in quinta, dopo una settimana di ripasso generale, abbiamo iniziato il lavoro sul quadernone di geografia; dopo il dettato e le raffigurazioni relative alla Val d’Aosta siamo passati al Piemonte, poi alla Lombardia: due o tre pagine di quaderno per ciascuna regione.Giunti al Veneto, a metà dettato un alunno alza la mano e dice:

«Maestro, tu non te ne sei accorto, ma tutti questi dettati li abbiamo già fatti l’anno scorso!». «È vero!!!», sbotta un altro alunno, quasi con risentimento; diversi altri si uniscono al coro, mentre uno addirittura rincara: «Sì, ricordo che quest’estate li ho riletti tutti, sul quaderno di quarta!». Ho sentito una lieve onda di paura scendere dalla testa ai piedi mentre pensavo al significato e alle conseguenze di queste affermazioni, soprattutto riguardo alla mia autorevolezza nei confronti della classe. Poi, quasi per istinto più che per certezza (due degli alunni che avevano appena fatto quelle affermazioni sono veri e propri campioni di memoria e di puntualità), li ho guardati tutti lentamente, prendendo tempo, e infine ho chiesto: «Ma… ne siete sicuri?». E giù con un’altra ondata di rimostranze per questo ingiustificato, doppio,inutile lavoro imposto dal maestro: «Ma certo! Sono proprio le stesse frasi!», afferma uno che rilegge ad alta voce l’ultimo periodo appena scritto, col tono di chi lo sente riecheggiare dal passato. Terminato il dettato, inizia l’intervallo. Quando tutti gli alunni sono fuori dall’aula vado in silenzio all’armadio e prendo un qua-derno di geografia della quarta classe e controllo… Naturalmente niente dettati sulle regioni! “Per un attimo”, penso rimproverandomi, “ci avevo quasi creduto!”.

Immagini

Cos’era successo? Per quale motivo molti alunni erano certi diaver ripetuto la scrittura degli stessi dettati? Come mai addirittura dichiaravano di aver già scritto quelle stesse frasi? La risposta sta nel ruolo che le immagini assumono nell’anima dei bambini.Quando, fin dalla prima classe, l’insegnante racconta agli alunni– o presenta sulla lavagna – una scena relativa all’ultimo racconto, accade che il bambino leghi una parte di sé al succedersi degli episodi, attraverso i sentimenti suscitati. Possiamo considerare quella «parte di sé» come il centro dell’anima del bambino, in cui vivono – sempre, continuamente, quasi fossero pre-senti degli attori che mimano le esperienze vissute – le immagini suscitate dal racconto, attraverso la parola del maestro. Queste sono le più vive, le più mobili in assoluto. Quelle create tramite la lavagna,ad esempio, soffermano questo movimento interiore su una certa scena, la quale avrà, in genere, il ruolo di collegare il contenuto del racconto a un determinato aspetto dell’insegnamento, come ad esempio una lettera dell’alfabeto in prima classe, più avanti un evento della storia, un simbolo della mitologia, la qualità di un’operazione matematica, uno stato d’animo. È infatti da considerare immagine tutto ciò che viene a imprimersi nell’interiorità di ciascuno di noi. Quindi, oltre a qualcosa di visibile per gli occhi dell’anima, si tratta pure della percezione di sentimenti: compassione, entusiasmo,ingiustizia, crudeltà, ma anche di rappresentazioni e di concetti.

Torniamo all’esperienza con la geografia. Le immagini «viste»dai bambini, rispetto ai rapporti dell’uomo con l’ambiente e da loro stessi riportate sulle cartine (personalizzandole ulteriormente conciò che viveva dentro di loro) si sono incontrate mesi dopo con quelle descritte nei dettati: le une richiamavano le altre, corrispondendo talmente tra loro che i bambini ne ricordavano il contenuto in modo molto vivo.Il fatto che una particolare frase del dettato suonasse addirittura come già sentita, dipende soltanto dall’esatta corrispondenza del suo contenuto con l’immagine già esistente nella loro anima: perciò i bambini hanno avuto l’impressione di riscrivere la stessa cosa.

Immagini che crescono assieme al bambino

Una delle meravigliose caratteristiche di queste «illustrazioni viventi» – che, ricordiamo, comprendono anche la rappresentazione e la vita interiore di sentimenti e concetti che autonomamente vanno creandosi in ogni bambino – è la loro intrinseca malleabilità. Anno dopo anno, ciò che viene associato ad esempio a un’operazione matematica, si arricchisce di caratterizzazioni,di concetti a essa collegati, di qualità rispetto alla vita quotidiana, e così via. Se riusciamo nell’intento di portare un insegnamento che per-metta agli alunni di formare e arricchire interiormente, personalmente i concetti della didattica pur aderendo ai contenuti di questa,allora raggiungiamo un doppio traguardo. La varietà dei collegamenti fra le varie materie, e con la vita in genere,rafforza e definisce finemente ogni concetto, mentre i tempi dedicati all’attività puramente didattica possono essere così ridotti drasticamente, praticando quella che Steiner definisce «economia nell’insegnamento», raggiungendone comunque gli obiettivi. Ciò avviene anche grazie al fatto che, fino a una certa età, il bambino è estremamente legato alle immagini, e che, detto con le parole di Steiner, «un concetto passa davanti all’anima di un bambino così come un suono passa di fronte agli occhi». Nei primi anni di scuola è dannoso insistere su un insegnamento concettuale, che necessita di molto esercizio esclusivamente intellettuale e non rafforza né la memoria, né il pensiero, né la volontà, escludendo inoltre il sentimento. Per contro, le immagini che scaturiscono dall’arte favoriscono ogni aspetto dell’educazione.In questo modo, tutto il tempo e l’attività dedicati all’arricchimento interiore costituiscono il lato istruttivo e formativo della vita scolastica, agendo fortemente anche sulla volontà e sui sentimenti.Le immagini che così si formano non si assembrano come sterili e immutabili concetti, come biglietti stratificati uno sull’altro, ma si trasformano con il procedere del tempo. Per esempio, il carattere flemmatico, «mangione» – che possiamo attribuire inizialmente all’addizione – si può trasformare negli anni, attraverso le conte e i ltanto calcolo orale, in un potente strumento per la divisione, per poi ampliarsi drasticamente quando viene applicato alle frazioni;ma si tratta sempre di quel gesto, di quella qualità dell’azione.

Immagini che diventano pensieri, giudizi e concetti

Dal punto di vista del pensiero, sono permesse così due linee evolutive: la prima collega i diversi insegnamenti, formando un corpo armonioso e organico. Ad esempio, in quarta classe, le frazioni, le regioni d’Italia, il passaggio a una mitologia con tante figure divine,la molteplicità dei rapporti tipica dell’euritmia e dei punti di riferimento nel disegno di forme, l’introduzione della polifonia in musica,l’analisi grammaticale e così via, costituiscono tanti aspetti diversi dello stesso fenomeno, che viene interiorizzato in modo molto solido. Ciò educa con equilibrio l’intero essere del bambino proprio nel momento in cui l’aspetto analitico, di frammentazione, avviene spontaneamente. La seconda linea evolutiva del pensiero riguarda il futuro adulto, poiché le immagini possono sempre trasformarsi nell’anima: l’acquisizione di nuove conoscenze,le continue esperienze di vita, la rielaborazione delle stesse nozioni in contesti diversi determinano la modifica dell’immagine, pur rimanendo queste sempre aderenti alla propria vita di sentimento e di rap-presentazione, ampliando il bagaglio di concetti personali.L’attività con cui viene attuata maggiormente l’educazione a una tale vita interiore è, nella scuola steineriana, la narrazione. Anno dopo anno, un diverso filone narrativo pervade ogni giornata di immagini, sempre a misura del bambino che cresce: dalle fiabe in prima classe si passa alle favole e alle agiografie in seconda, all’Antico Testa-mento in terza, alla mitologia nordica in quarta, alle antiche civiltà in-diana, persiana, sumera, assiro-babilonese, egiziana e greco-romana in quinta, assieme alle rispettive cosmogonie e mitologie, per poi aderire sempre più al corso della storia e del tempo in sesta e nelle classi successive, fino a giungere alla storia dei giorni nostri in ottava.Cosa viene portato principalmente incontro al bambino con tutte queste narrazioni? Essenzialmente l’uomo, l’immagine dell’uomo.Dagli aspetti puramente morali, attraverso le sole azioni (senza giudizi da parte del maestro!) che si susseguono nelle fiabe, e poi ancora,ad esempio, nelle diverse cosmogonie e mitologie, ogni alunno si arricchisce per la vita dell’elemento culturale, spirituale dell’umanità, cioè dell’essere umani. A ogni nuova civiltà di cui ho raccontato le origini spirituali, ho assistito come spettatore allo spettacolo stupendo offerto dall’anima dei bambini aperta a continue meraviglie, ispirazioni, entusiasmi, talvolta anche delusioni, stupori, fino alla nascita di giudizi morali, suscitati dall’intrecciarsi, dal sovrapporsi degli stessi elementi educativi, rivestiti di volta in volta di un abito diverso. L’intersezione di queste immagini,cioè il fatto che l’una, a distanza di mesi e anni, richiami le altre, innesca nell’anima dei bambini quello spontaneo, innato processo di cogliere,come un frutto luminoso, l’essenza del racconto.Solo così si può scoprire cos’è umano e cosa non lo è, solo con questa ricchezza narrativa si può far germogliare e può essere coltivata in ogni bambino quell’innata disposizione a svelare gradualmente il contenuto della narrazione, proprio perché le immagini sono vive,possono coesistere come veli armoniosamente dipinti con magnifici colori e squadernati di fronte agli occhi dell’anima.Questo tipo di attività, suscitata giorno dopo giorno attraverso il sentimento, è il sano preludio a una forte vita di pensiero, al saper guardare lontano, al rifiuto di pregiudizi, a un ricco mondo di concetti nati spontaneamente. Solo con l’immaginazione riusciamo a creare qualcosa, mentre questa viene spenta con un insegnamento concettuale rigido, imposto. Come disse Einstein, «Se vuoi che tuo figlio sia intelligente, raccontagli delle fiabe. Se vuoi che sia più intelligente, raccontagli più fiabe».

Immagini inadeguate

A seconda dell’età, le immagini vengono ritenute in modo di-verso; esistono anche immagini che l’anima del bambino non è ancora in grado di sostenere. Per i bambini c’è un’enorme differenza tra il mignolo che la bambina si taglia per aprire la porta del castello, nella fiaba dei fratelli Grimm raccontata in prima classe, e il pollice che l’arciere si taglia,per volere del suo maestro d’armi, nel Mahabharata raccontato in quinta: ma questa differenza è soprattutto nell’anima del bambino! A propria misura, ogni bambino coglie l’elemento morale, quello di sentimento e quello puramente fisico nelle dovute proporzioni.Se un bambino di prima classe non ha assistito fisicamente a scene di sangue, allora molto difficilmente si impressionerà con racconti come quello citato, ma ne accoglierà in sé l’elemento morale. Mentre, se potrà crescere in modo sano, negli anni si legherà sempre più all’elemento terreno a misura della propria sensibilità. Una maestra di Oriago mi raccontò come un alunno di quarta classe che a scuola sveniva alla vista o al racconto realistico di un taglietto, oppure per una goccia di sangue, non abbia fatto una piega alla narrazione dello spargimento del cervello del gigante Ymir sulla volta del cielo.

Le immagini che i bambini formano nella propria anima ascoltando delle narrazioni dal vivo sono di volta in volta commisurate alle loro capacità emotive individuali. Di conseguenza, in ciascun bambino sono diverse, come diverse sono anche nello stesso bambino, se egli riascolta il medesimo racconto. Al contrario, le immagini che invadono l’anima con film o cartoni animati s’imprimono tali e quali a come provengono dall’esterno: sono immodificabili, senza vita, non si formano liberamente, poiché non nascono nell’interiorità a misura di ciascun ascoltatore. Per lo stesso motivo non disegneremmo mai alla lavagna il taglio del dito per non fissare qualcosa che poi non ti lascia stare, che può diventare «indigeribile» quando suscita sentimenti troppo forti perla fragile emotività del bambino. L’argomento del disegno alla lavagna è una scelta molto delicata da parte del maestro: ogni bambino lo attende sempre con curiosità ed emozione (le lavagne sono coperte e il disegno viene mostrato al momento giusto), suscita la sua meraviglia. Poi la classe è invitata a riprodurre quel disegno sul quaderno e perciò ogni scolaro lo ricrea con la propria fantasia, aggiungendovi particolari, magari secondari rispetto al racconto da cui l’immagine è stata tratta, ma che racchiudono evidentemente per lui aspetti dai quali è stato toccato: sono cioè della sua misura.

Quando poi l’adulto fa assistere un bambino a un film o un cartone animato con contenuti inadatti alla sua età, lo pone in una situazione che il piccolo non può sopportare. L’anima spesso non sa esprimere subito il disagio provato e questa è la situazione peggiore.Talvolta il bambino piange o rifiuta di proseguire la visione. Ma in ogni caso, senza possibilità di scampo, conserva quelle immagini per lui incomprensibili, distorte; non può fare altro che tenersele e queste, soprattutto quando non trovano modo di essere rigettate almeno in parte attraverso la parola, il dialogo, o anche soltanto con un comportamento sconcertante, continuano a turbare, affaticare,a rovinare la vita interiore: sono come dei veli oscuri che si sovrappongono ad altri, deformando ciò che vive nell’interiorità. Tralascio qui ogni considerazione morale. Inoltre, le immagini fisicamente animate come quelle dello schermo si imprimono molto più forte-mente nell’anima, rispetto a quelle viste senza animazione o suscitate dall’ascolto di un racconto, di per sé fluttuanti, mobili, come abbiamo già detto.

Per un bambino, il modo più spontaneo per raccontare qualcosa è disegnare: nel primo settennio, se la sua esistenza scorre con esperienze sane, il disegno mostra soprattutto i processi fisici della corporeità che si va formando e che è un tutt’uno con l’anima. A partire dal secondo settennio, comincia invece una rappresentazione frutto dell’elaborazione personale delle proprie esperienze animiche. Se alcune di queste sono per lui insopportabili, emergeranno con la stessa violenza con cui sono entrate. Purtroppo, l’emersione ne è solo una copia, poiché l’originale, la causa del disturbo, rimane ancorata nel profondo dell’essere. In ogni caso l’immagine – questa volta creata dal bambino sulla carta – è il veicolo usato spontaneamente dall’anima per comunicare con il mondo, per esprimersi. Un’altra forma di comunicazione sta nel comportamento, sia esso verbale, relazionale o fisico. Bambini turbati da esperienze inadeguate possono avere un particolare rapporto con il loro corpo anche in situazioni fisiologiche del tutto naturali, specialmente nei maschi, esprimendo comportamenti scorretti, spesso in presenza di altri bambini. Il contesto sociale,quindi in primis quello scolastico, è quello a cui si rivolge il bambino per esprimere un disagio: in genere è un modo di chiedere aiuto.Ma capita anche che il contenuto interiore deformato sia generato dall’aridità di un intellettualismo unilaterale e precoce con cui vengono portati gli insegnamenti. Ci si abitua a tutto, è vero; soprattutto i bambini ne sono capaci, ma a quale prezzo… pagato, quando va bene, con un comportamento scorretto di cui oggi abbiamo molte testimonianze.

Allora, perché togliere al bambino la possibilità di vivere un sano rapporto con coetanei, famiglia, insegnanti, fornendogli anticipazioni inadatte a casa o a scuola? Perché togliere al bambino la serenità con problemi prematuri assolutamente inadeguati alla sua età evolutiva? Perché incatenargli il pensiero con nozioni aride, calate dall’alto, invece che suscitate da immagini belle e ricche di contenuto con le quali egli possa costruire il proprio mondo concettuale via via che cresce? Voglio terminare con un’altra affermazione di Einstein: «La logica va da A a B; l’immaginazione va ovunque»