Autore: Carmen Valentinotti
Editore: Germogli
Pedagogia

Le dita delle mani son come raggi d’oro

Quand’ero bambina amavo un libro in particolare, le avventure di Pinocchio, e chi non le conosce! È la storia di un falegname, mastro Geppetto che trova un pezzo di legno con “dentro” un burattino… Com’era stato fortunato, pensavo… Ma cosa sarebbe accaduto di quel burattino se Geppetto non fosse stato un bravo artigiano, capace di “tirarlo fuori”, liberarlo e dargli la sua forma? Anche questo mi chiedevo. Pinocchio sarebbe rimasto un pezzo di legno e non avrebbe potuto fare tutto ciò che fece e arrivare a diventare addirittura un bambino vero! Le mani di Geppetto gli avevano dato la vita… Ecco che cosa compresi: le nostre mani dovrebbero sempre essere pronte, capaci di dare vita!

È per questo che lavoriamo coi nostri bambini e lo consideriamo molto importante. Il lavoro manuale è un’attività formativa. Contribuisce alla realizzazione della completezza dell’uomo. Che cosa può fare un uomo che tutto sa e nulla sa fare? Rudolf Steiner diceva: “Come si può pretendere di sapere qualche cosa sui grandi misteri del mondo se all’occorrenza non si riesce a rammendarsi le calze o a farsi un paio di scarpe? Un bravo filosofo sa anche attaccarsi un bottone…”. Come uomini ci esprimiamo in tre grandi ambiti fondamentali con i quali possiamo operare nel mondo. Il pensare, il sentire, il fare. E guai quando una di queste tre facoltà dorme o soffre! A noi uomini del terzo millennio risulta subito evidente quale tragedia possa essere non avere un intelletto sano e funzionante, ma che cosa può diventare un pensiero lucido, chiaro, intelligente, se non viene scaldato da un sentimento onesto, caldo, vivo? Può diventare amorale, può servire il male, combinare ogni sorta di disastri a danno dell’uomo stesso e della terra intera.

E se un chiaro pensiero, scaldato da un vero sentimento non trova braccia e gambe capaci di muoversi e operare nel mondo? Tutto si ferma, l’idea non “scende” sulla terra. L’idea non potrà aiutare il mondo, l’uomo dovrà delegare, affidarsi ad altri. Sempre più spesso questa sorta di scollamento si accentua e ci sono pensatori con cuore arido e braccia inerti, o lavoratori attivisti senza la luce del pensare o sentimentali con idee confuse e i piedi a trenta centimetri da terra! Un disastro! Ma soprattutto uno spreco! È come se, partendo per una bella camminata con nel cesto pane, frutta e acqua noi bevessimo solo l’acqua, buttando via pane e frutta o viceversa. Che peccato, buttare via i doni che ci siamo portati dal cielo, che peccato perdere l’occasione di essere un uomo intero, un uomo vero! Nei progetti educativi e nelle consuete prassi pedagogiche si tiene generalmente conto delle tre facoltà dell’Uomo che ho citato prima.

Ogni pedagogo ed educatore sa che c’è bisogno di portare nutrimento all’intelletto, alla vita del sentimento e c’è bisogno di occuparsi anche dell’aspetto motorio del bambino. Ma quello che spesso avviene è che si trattino questi ambiti come se fossero separati tra loro. A scuola si impara, cioè ci si occupa di nutrire l’intelletto, poi bisogna pensare a qualcosa di artistico capace di arricchire la vita delle giovani anime in divenire, allora per esempio si può studiare musica, fare qualche corso di pittura, occuparsi d’arte… Rimane l’aspetto del movimento ma a quello si cerca di rimediare praticando uno sport! Ecco che pensare, sentire e volere cominciano a percorrere le loro strade separate, ognuna per conto loro, ben nutrite, rafforzate, ma incapaci di darsi l’una all’altra, di fluire l’una nell’altra, completandosi, aiutandosi, arricchendosi.

Che peccato perdere l’occasione di essere un Uomo intero, un Uomo vero! Il progetto pedagogico iniziato da Rudolf Steiner con la fondazione della scuola Waldorf, vuole restituire all’uomo questa occasione. L’idea di plasmare l’insegnamento rivolgendosi all’Uomo intero abbraccia tutto il campo didattico e porta grandi possibilità per il risanamento dell’Uomo di domani. Nel piano di studi di questa scuola è inserita anche una materia denominata genericamente Lavoro manuale. Il lavoro, l’attività manuale, assumono un ruolo importante in questo progetto così ambizioso purché tengano conto, così come avviene per tutte le altre materie del piano di studi, dell’Uomo intero, della sua evoluzione e delle leggi che la governano. Non si tratta quindi di inventarsi “lavoretti” da fare coi bambini ma di avere un piano di studi elaborato in funzione della loro evoluzione; questa è una delle peculiarità del piano di studi delle scuole Waldorf e concerne anche l’ambito del lavoro manuale. Ma si tratta anche di permettere alle tre facoltà dell’Uomo di rimanere in movimento, in collegamento l’una con l’altra, come fossero un meraviglioso flusso di vita pieno di senso e di dignità. Come avviene questo? Quando cominciamo le nostre prime lezioni partiamo da dove il bambino si trova, principalmente nel fare e lo aiutiamo a usare le sue mani portandolo piano piano alla consapevolezza del loro straordinario valore, delle loro incredibili capacità. Possiamo seminare questi contenuti anche con un piccolo saluto iniziale. Uno di quelli che ho preparato io per i miei bambini è questo:

Le dita delle mani son come raggi d’oro e io posso intrecciarli col gioco e col lavoro se insieme impareranno quello che posson fare saran sempre felici, potranno anche volare e portar questa gioia nei luoghi più lontani perché possan sentirla tutti gli esseri umani

Attraverso questi pochi versi comunico ai miei alunni quello che io sento profondamente: la gioia che il realizzare un lavoro con le mani porta con sé, una gioia che vorrei fosse compresa, condivisa dagli altri, da coloro che ancora non la conoscono. Mentre recitano queste parole i bambini muovono le mani, guardano le loro dita, vedono che in realtà sono come raggi, le intrecciano, le sentono, le muovono e poi le alzano, come ali leggere, verso l’alto, scoprendo così che sono libere, persino dalla gravità, sperimentano la gioia di questo semplice volo e poi le allargano, le spingono più lontano possibile, mentre pronunciano il desiderio di comunicare la loro gioia al mondo. In questo modo sono già stati coinvolti il “fare” e il “sentire”, attraverso l’immagine e il ritmo delle parole. Il giovane “pensare” dei bambini si muove con loro e segue questi semplici movimenti, preludio del lavoro vero e proprio. La consapevolezza di voler tenere unite le tre facoltà dell’Uomo sopracitate è una base, un punto di partenza, un proposito. E per quanto riguarda il pensare, l’intelletto, che talvolta sembra essere considerato quasi il padrone, va detto che lavorando lo si aiuta indirettamente. Nel piano di studi di lavoro manuale per le prime classi si ha come meta quella di rendere i bambini abili e capaci con le mani, nelle dita. Ma questa attività agisce fin nella conformazione del cervello.La fisiologia ci dice che mentre noi usiamo la mano destra qualcosa “va” nel cervello e forma il motore per la parola il cosiddetto organo di Broca nella metà sinistra del cervello. Rudolf Steiner dice inoltre che tutto quel che avviene nell’organismo motorio del bambino si trasferisce attraverso la misteriosa organizzazione interiore umana nell’organizzazione della testa e poi si manifesta nel parlare.

Sul pensare, sul sistema della testa si opera indirettamente. Forse proprio nel senso di svegliare qualcosa di ancora dormiente, che ancora dorme, e di contribuire alla sua stessa formazione. Si esercita anche la concentrazione e la logica ma prima con le mani, non intellettualmente. “L’intelletto non viene formato mirando direttamente alla sua formazione, alla cultura intellettuale, ma si sa che qualcuno che muove le sue dita in modo maldestro ha anche un intelletto maldestro nonché idee e pensieri poco flessibili, mentre invece colui che è capace di muovere le sue dita bene ha anche pensieri e idee flessibili ed è in grado di compenetrare l’essenza delle cose; sapendo queste cose non si sottovaluterà che cosa significhi sviluppare l’uomo esteriore con lo scopo di farne venir fuori l’intelletto come una parte“. (R. Steiner)

Se queste brevi considerazione e questa citazione non fossero sufficienti, vorrei aggiungere anche quanto scrive Vittorino Andreoli nel suo libro “La vita digitale” (edito da Rizzoli). “Come è noto dall’anatomia, le parti del corpo hanno una rappresentazione nella corteccia cerebrale: nelle rispettive zone sensoriali per la percezione e in quelle motorie per l’azione. L’uomo vecchio, prima delle tecnologie digitali, aveva nel cervello una data espansione delle aree relative ai polpastrelli delle dita, aree ora destinate a ingrandirsi a svantaggio del palmo della mano che non serve quasi più. La digitalizzazione insomma, sta conquistando una rappresentazione cerebrale maggiore e questo permetterà di usare le dita in maniera sempre più precisa e rapida….. Certo colpisce l’abbandono del termine finora dominante: vita umana, ben più ricca di una pur rapida digitalizzazione, ma è indubbio che ormai la funzione principale dell’uomo è quella di premere delicatamente e sempre più rapidamente una tastiera di dimensioni sempre più ridotte….” Io, noi, vogliamo che le mani dell’uomo continuino a essere strumenti, possibilità, ali quasi. E, di conseguenza, che abbiano anche la loro rappresentazione nella corteccia cerebrale, ma non solo quella corrispondente al dito indice, poiché ormai l’uso del “mouse” lo sta facendo diventare un protagonista… Perché mai ci dovremmo rinunciare? “Molti uomini non sanno quanta sana logica e chiaro pensare si raggiungano sapendo cucire! “ (E. Hauck) Per questo fin dalla prima classe i nostri bambini lavorano a maglia, cuciono, tagliano con le forbici, imparano la tessitura, l’uso dell’uncinetto e tanto altro. Li aiutiamo a imparare proponendo loro delle immagini per tenere vivo e in movimento il loro sentire. L’immagine darà origine a un piccolo, brevissimo racconto, magari in sintonia con la stagione. Ma da questo scaturisce poi una filastrocca, breve, snella, ritmica, quasi una formula magica, come la chiamo io quando sono con loro, una formula magica che li aiuterà quando saranno alle prese con il lavoro. Le immagini, quelle di una piccola storia o di una filastrocca, ci servono per aiutarli ad apprendere le varie tecniche di lavoro: un ferro che lavora a maglia può essere un “pastore che entra in un ovile e prende le sue pecorelle, una ad una, mettendo loro al collo una campanella d’oro…”, per esempio. Un contenuto così è più caldo, più vicino al bambino di quanto non sia una spiegazione del tipo: entra nella maglia e prendi il filo… Chi sa lavorare a maglia comprende quello che voglio dire, chi non lo sa… potrebbe impararlo!!! Alle immagini viene aggiunto il ritmo, un ritmo che sostenga le fatiche dei nostri bambini, che pur sempre fatiche sono e vanno comprese. Se trasformo la storia del mio pastorello in un ritmo: Entro (nell’ovile) metto (la campanella) esco (con la pecorella) lo aiuto a lavorare senza stancarsi. Ricordiamo che il nostro sistema ritmico è l’unico che non si stanca mai, anche mentre dormiamo il cuore e i polmoni instancabili continuano il loro operare, dalla nascita fino alla morte. “Il pensare stanca, muoversi con il corpo stanca. Pensare e muoversi sono sempre presenti perciò tutto stanca nella vita.

Nel bambino la stanchezza dovrebbe prodursi il meno possibile e questo avverrà se orientiamo l’insegnamento verso l’arte, portando immagini, perché così facciamo appello al sistema ritmico e stanchiamo il bambino il meno possibile”. Ecco che qui si parla di arte e l’insegnamento del lavoro manuale può trovare il suo posto tra le materie artistiche. Il suo carattere pratico gli conferisce una certa peculiarità che ha a che fare con l’idea di portare la vita nell’insegnamento e inserire i bambini nella vita, ma sta a noi farne anche una materia artistica. Come? Con l’uso della bellezza. Dal settimo al quattordicesimo anno il bambino vive sotto l’impressione IL MONDO E’ BELLO. In lui il senso della bellezza va risvegliato e curato. E dal gioco al lavoro si passa attraverso la bellezza, questa è la “strada d’oro dell’educazione”. Il bambino deve poter imparare giocando quasi, noi dobbiamo trovare il modo di trasformare il gioco in attività artistica e pratica. Mia nonna, una contadina che possedeva solo il bene dell’intelletto e due mani grandi, diceva a proposito dei vestiti delle donne povere come lei: la ricchezza dei poveri sta nei colori! Due stracci con bei colori sono più belli del più costoso vestito con brutti colori, ecco cosa voleva dire. I colori sono la ricchezza per tutti e nelle nostre scuole lavoriamo molto perché li si possa conoscere e amare rispettando le loro leggi. I colori possono aiutarci a far sì che i lavori dei nostri bambini siano belli, piccole opere d’arte costruite, nate tenendo conto delle semplici leggi che le governano. Un sacchettino ricamato, per esempio, sarà scuro laggiù in fondo, dove è chiuso, sarà chiaro laddove si può aprire per far entrare la luce, laddove la mano dell’uomo si accosta e apre…

Un altro strumento che abbiamo a disposizione per aiutare i bambini ad amare il lavoro è la finalità di ciò che proponiamo loro. Noi educatori sappiamo che il solo lavorare è una grande attività formativa ma questa non è ovviamente una motivazione che può soddisfare i bambini stessi. Ecco perché le attività pensate ed escogitate solo per sviluppare “qualcosa”, in realtà non ottengono i successi sperati, perché i bambini si stancano, il loro lavoro e il loro tempo sono preziosi quanto i nostri e ciò che noi proponiamo loro deve avere un senso, deve poter avere a che fare con la vita. I bambini devono poter lavorare per uno scopo che li soddisfi, li possa gratificare e stimolare. Quante cose senza senso vengono invece proposte ai nostri bambini! Interroghiamoci su questo prima di fare delle scelte riguardo alle loro attività. Anche la realizzazione di oggetti che possono avere come unico destino quello di finire su una mensolina a riempirsi di polvere è povera di senso; se vogliamo fare un regalo alla mamma o al papà, possiamo provare a cercare un’idea sensata: un segnalibro, un sacchettino per la pipa… Un bimbo che vede la mamma usare la presina realizzata da lui, con le sue manine sudate ma impegnate, prova una gioia profonda, capace di motivarlo a imparare qualcos’altro!

Il lavoro manuale ci permette inoltre di “parlare” con i bambini in un modo del tutto particolare, senza fare discorsi o prediche, possiamo portare loro incontro messaggi profondi, destinati a rimanere nel loro animo come valori per tutta la vita. Il primo è senza dubbio quello riguardo alle straordinarie possibilità di movimento, di attività che le mani ci consentono di esercitare. “Le manine laboriose, quante cose sanno fare…” diceva una vecchia filastrocca. Si potrebbe fare un lungo elenco effettivamente, perché le mani sanno giocare, sanno essere libere, sanno stare nella terra, nel fango, ma sanno librarsi nell’aria come rondini, sanno battere con un martello, ma anche ricamare con un ago quasi invisibile, sanno respingere un pallone pesante ma anche avvicinarsi delicatamente tra loro nel gesto antico della devozione, della preghiera… Noi ovviamente dobbiamo rimanere un po’ più attinenti al lavoro e quindi aromatizzare le nostre attività con i pensieri che riguardano il senso del lavoro dell’uomo. I nostri bambini lavorano a maglia, imparano questa attività fin dalla prima classe. Rudolf Steiner lo ha stimato di valore straordinariamente grande per la pedagogia e in questo senso è stato un profetico precursore dei knit cafè che stanno ora nascendo un po’ di qua e un po’ di là. Egli diceva che non ci deve essere nessun bambino nella scuola Waldorf che non sappia lavorare a maglia. Questa antichissima attività la cui origine è ancora incerta e misteriosa, consiste nel lavorare un unico filo e trasformarlo in un tessuto con l’ausilio di due ferri. Ecco un vero “filo logico”! Il messaggio della trasformazione è il più evidente. Ma quale percorso…. Con i bambini lo si può portare a coscienza, quasi come una novella. Si comincia da una riccioluta pecora, e si arriva al berretto che si indossa… Una storia bellissima. Ma, in silenzio, senza bisogno di parole loro vivono anche in un processo logico imprescindibile. Il lavoro a maglia ha una logica ferrea, se non ci si concentra “cadono” i punti, il tessuto si disfa, non è più omogeneo. Logica e concentrazione, esercitati con le mani, mentre il cuore e il respiro seguono il ritmo del lavoro, entro, metto, esco… (ricordate il pastore di prima?) ma non solo, batte anche di gioia al pensiero di quanto sarà bello il lavoro finito e quanto sarà contenta la mamma di vederlo… Ecco quindi il piccolo uomo con le sue tre facoltà in movimento, in un flusso continuo, l’una con l’altra, l’una necessaria all’altra. I bambini di prima classe usano le manine in modo via via sempre più cosciente, le dita diventano più mobili e il bambino è infine soddisfatto perché impara qualcosa con tutto se stesso. Ricordo un alunno arrivato nella mia classe da un’altra scuola: dopo alcune lezioni di lavoro manuale stringeva tra le mani un piccolo porta aghi fatto da lui e guardandomi dritto negli occhi dichiarò solennemente: finalmente una scuola dove si impara qualcosa! Questo modo di lavorare rende il bambino abile, consapevole delle sue capacità e porta salute.

C’è un altro aspetto da sottolineare a proposito di questa attività: il suo valore sociale, il suo importante contributo alla crescita sociale dell’individuo. Nel corso di Ilkley del 1923, nella conferenza del 17 agosto dal titolo “Conseguenze culturali dei nuovi metodi educativi ”Steiner disse a proposito della lezione di lavoro manuale: “Sotto questo aspetto la pedagogia da cui prende le mosse la scuola Waldorf si collega proprio con le moderne impostazioni sociali. Perciò alcune cose si devono curare assieme ai ragazzi e alle ragazze, altrimenti gli uni o gli altri da soli non riuscirebbero. Così potete vedere nelle nostre scuole ragazzi e ragazze seduti vicino lavorare a maglia o a uncinetto durante la lezione di lavoro manuale. Con ciò si realizza qualche cosa di molto umano; lo si può dedurre dal fatto che i bambini imparano da noi a lavorare la calza e a rammendarla con un certo entusiasmo. Lo fanno senza minimamente pensare che la loro dignità venga in qualche modo offesa. Facciamo praticare questi mestieri non tanto per insegnare le arti e i mestieri ai bambini, ma soprattutto perché si sviluppi l’intelligenza in ogni direzione. Poiché uno dei più grossi danni del nostro attuale stato sociale è che un uomo comprenda così poco quello che fa un altro uomo. Dobbiamo arrivare veramente a non stare soli o a gruppi separati ma a stare uno di fronte all’altro in perfetta comprensione”.

Quanto qui riportato ha ancora un grandissimo valore, nonostante adesso non sia più un elemento innovativo il fatto di far lavorare maschi e femmine insieme. Ciò che è insolito ancora oggi è che i maschi si cimentino in lavori “femminili” per definizione, ma posso confermare che lo fanno con grande entusiasmo e ne traggono gioia e soddisfazione. Ciò che è invece attualissimo è proprio l’elemento della comprensione del lavoro altrui che mai, a mio avviso, come in quest’epoca sta veramente scomparendo. Del resto stanno scomparendo anche le possibilità di sperimentarlo realmente, in modo visibile, soprattutto per i bambini che si trovano spesso di fronte ad adulti il cui lavoro non si vede. Ecco perché fare l’esperienza del lavoro è un contributo alla formazione di un essere sociale. Dopo aver fatto un paio di calze le si guarda con occhi diversi, ci si rende conto di quanto lavoro, tempo, pensieri contengono, ve lo posso assicurare! Ma non è tutto: si scopre anche la meravigliosa possibilità di potersi aiutare, di collaborare per raggiungere obiettivi altrimenti troppo lontani. Se voglio fare una piccola coperta per un bambino nato da poco e, ohimè ho solo 9 anni e non sono ancora così abile, probabilmente non ce la farò mai, ma se tutti i miei compagni, ne fanno un pezzettino insieme a me, riusciremo a fare una bellissima, grande coperta in poco tempo, con tanta gioia e senza troppa fatica! Quante volte l’ho fatto con i miei alunni, quante coperte abbiamo realizzato, piene di piccoli punti, farcite di pensieri di bambino, di auguri freschi e chiacchierini… Un tessuto sociale! Vorrei parlare infine, anche di un’altra chiave di lettura di quanto viene proposto nel piano di studi del lavoro manuale nelle nostre scuole: da un lato abbiamo visto si tratta di divenire abili, realizzare attività con uno scopo preciso ed enfatizzare l’elemento sociale, dall’altro si può parlare anche di rapporto con ciò che accade nell’interiorità del bambino nei diversi momenti del suo sviluppo. Lo voglio spiegare con un esempio, a parer mio piuttosto significativo. Quando il bambino è in terza classe si trova ad avere circa nove anni e mezzo e a vivere un’esperienza interiore profonda, molto importante. Tutto il suo essere si riorganizza, la sua vita dell’anima e anche quella corporea subiscono significative trasformazioni. Comincia a venire meno la facoltà dell’imitazione che ha sostenuto fino ad ora la possibilità di imparare tutto molto facilmente, compare un sentimento di solitudine, di estraneità, di distacco.

Si ripete qualcosa che era già accaduto verso i tre anni, ma questa volta in modo più profondo. Il mondo diventa qualche cosa di estraneo, staccato da loro, persino la madre e il padre. Il bambino comincia a rivolgersi a se stesso, alla sua interiorità, scopre di avere un Io, si sente solo, ma nello stesso tempo può sperimentare di essere unico. Il nono anno è una “cacciata dal paradiso”, ma è l’inizio di un cammino come essere terrestre. Qualche cosa si chiude, forse proprio qualche cosa che sta “sopra” i bambini, il loro rapporto con il cielo; ecco allora che nel piano di studi del lavoro manuale si propone la realizzazione di un berretto. Un copricapo che possa proteggere, dare calore. Il berretto è l’immagine della chiusura sì, ma anche della protezione, e perché no, dell’accoglienza. Il berretto ben sistemato sulla loro testolina sarà come il tetto di una casa, sarà il primo vestito che si preparano perché stanno diventando Uomini, abitanti della terra. E questo è un modo per rendere visibile ciò che accade nell’interiorità del bambino che sta affrontando il cosiddetto “passaggio del Rubicone”, e nello stesso tempo anche come il mondo lo accoglie, desidera ospitarlo e proteggerlo per permettergli di fare il suo cammino sulla terra. Tutti questi contenuti vengono espressi da un lavoro, senza alcun bisogno di fare discorsi e, dopo molti anni di insegnamento, nonostante le mode vadano e vengano, non ho ancora trovato un bambino che non sia fiero del berretto che lui stesso ha confezionato con le sue mani! Considerazioni di questo tipo, stanno alla base di tutte le proposte che il piano di studi fa, anche per quanto riguarda il lavoro manuale. Concludo queste considerazioni come se fossero una lezione di lavoro manuale, chiudo con un saluto, uno di quelli che ho pensato per i miei alunni. Con le mani raccolte in grembo, quasi a formare un “nido” i bambini recitano:

Tra le mie mani ora, riposa un bel calore perciò con gratitudine le appoggio sul mio cuore.


Con le mani incrociate sul petto, possono percepire il calore, il pulsare della loro giovane vita: li guardo e anch’io ogni volta, provo un’immensa gratitudine.

Articolo contenuto nel numero di giugno 2013 di Germogli